English Version Below
Maggio 2013
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Delhi Station in the Morning |
Inizio di Maggio. Un normale mattino di un normale giorno in India. La brezza che porta rinfresco nella notte sta lasciando spazio ad un caldo soffocante.
Mi trovo su di un treno indiano sovraffollato come sempre, che si sta lentamente muovendo, diretto verso Bareilly. Il treno è pieno zeppo, oltre l'immaginabile. Un amico indiano è con me e una nuova avventura si prospetta. Molte incertezze agitano il mio animo e la mia mente cerca ansiosamente di seguirlo. Mi fermo un secondo per scrivere le impressioni e registrare il momento.
C'è un vuoto dentro me. Un vuoto dato dalla mancanza di sicurezze e che quindi fa paura al mio essere razionale. Un vuoto che tempra. Indica che si è sul percorso più difficile ma anche più autentico, l'unico che si possa prendere. Fa paura ma porta serenità, se uno non ci si affida e smette di combatterlo. Ne sono consapevole ma qualche volta è difficile.
Dopo la caotica partenza da Delhi ho finalmente trovato un piccolo spazio sulla cuccetta superiore. Una superficie di circa venti centimetri quadrati mi consente un qualche tipo di comfort. Schiacciato tra corpi umani e bagagli ora posso almeno sedermi.
Una fattoria ci sta aspettando. Un posto e un'esperienza
completamente diversi dal mio ambiente d'origine. Questa è per me una delle
ragioni per andarci. Non solo per vedere l'India da un'ottica
diversa e lontano dai turisti. Ma soprattutto per fare un'esperienza
completamente differente che mi metta alla prova e che mi dia una prospettiva nuova e quindi mi consenta di crescere.
La fattoria si trova nel nord, vicino al confine con il Nepal a qualche chilometro di distanza dai piedi dell'Himalaya.
Dopo
il viaggio in treno e qualche ora attraverso cittadine e villaggi
rurali finalmente giungiamo a destinazione. La fattoria è pulita e ben
tenuta. La proprietaria è una signora anziana che è assistita da vari
domestici e aiutanti nella cura di essa. Da noi si aspettano che
lavoriamo per sei/otto ore al giorno in cambio di vitto e alloggio.
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Our Accommodation in the Farm |
Di
fianco all'edificio principale c'è una piccola casetta che ci viene
data come sistemazione. Il pavimento - come nella fattoria - non è
piastrellato. I letti sono senza materassi e fatti con delle corde.
Appena arrivati mettiamo delle zanzariere sui letti che sono necessarie
per il grande numero di insetti. L'elettricità nel nostro rifugio è connessa alla rete elettrica nazionale che è inefficiente e quindi funziona raramente.
L'orario di lavoro non è particolarmente duro. La sveglia
suona all'alba - intorno alle 5:30 - quando, ancora assonnati, raggiungiamo la stalla. Lì
spaliamo il letame e aiutiamo a mungere le mucche - che non è
così facile come pensavo. Dopodiché ci viene servita colazione e
andiamo ai campi a raccogliere l'erba che taglieremo manualmente e
che verrà usata come mangime per i bovini.
Successivamente
- circa alle 10:30 - è l'ora per lavarsi con acqua fredda
in una stanza con una fontana a mano ed un secchio. Dopo il bagno io ed il
mio amico facciamo meditazione per conto nostro finché il cuoco non serve il pranzo vegetariano standard: un piatto unico composto da riso,
dal - cioè una salsa di lenticchie che va versata sul riso - e altre
verdure.
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Lunch in the Farm |
Dopo pranzo fino alle quattro di pomeriggio l'afa rende impossibile lavorare. Quindi ci riposiamo, leggiamo e qualche volta facciamo un giro al villaggio
vicino. Dopo la pausa lavoriamo ancora con il bestiame e facciamo altri
lavori come semina, giardinaggio e innaffiare le piante. Alla sera non
c'è elettricità nella nostra casupola quindi andiamo a letto presto,
intorno alle dieci.
Il villaggio più prossimo è Gajroula, il quale si trova a circa due chilometri dalla fattoria. La zona immediatamemente intorno alla fattoria è
curata, pulita e silenziosa. In effetti non sembra neanche di essere in
India.
Si dice che la strada che porta al villaggio
sia di tanto in tanto visitata dalle tigri della vicina riserva
naturale. Per questa ragione una sera i cowboy della fattoria tutti
ansiosi sono venuti a recuperarci al villaggio perchè il sole era già tramontato e
c'era il rischio di un incontro con questi predatori sulla strada verso
casa.
Il villaggio è più moderno di quanto ci
aspettassimo, benché povero. E' piccolo ma c'è gente ovunque. Infatti si
realizza di essere in Uttar Pradesh, lo stato indiano più popoloso. Il territorio di questo stato è più piccolo dell'Italia ma conta una popolazione di duecento
milioni di individui.
Quando andiamo al villaggio mi sento come una celebrità di Hollywood. La gente non è abituata a vedere i
goras
(cioè i bianchi) e quindi mi guardano incuriositi e qualche volta
addirittura una piccola folla si riunisce intorno a noi. All'inizio ero
compiaciuto di tutta quest'importanza ma dopo un po' mi sono sentito
invaso e qualche volta infastidito.
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Local Market (Pilibhit) |
Le gente del posto è genuinamente
ospitale. Hanno buone intenzioni e ho incontrato persone
interessanti. Come per esempio il capo della polizia locale che ci ha
fatto fermare per strada in fretta e furia - il che per un momento mi preoccupò un po' - per poi invitarci a bere qualcosa alla stazione di polizia
locale. Quindi siamo finiti a chiacchierare amichevolmente e a raccontarci dei
nostri rispettivi paesi. Tuttavia qualcun'altro è più invadente. Come ad
esempio un uomo che mi ha fisicamente bloccato per strada e implorato di andare a
casa sua per incontrare sua moglie.
Il mio amico mi ha poi
spiegato che questo è un tipo di atteggiamento di un popolo che è
abituato a guardare con ammirazione i bianchi durante l'era coloniale.
Credo che la gente del posto voglia anche praticare l'inglese, conoscere
un
gora che in genere vedono solo in televisione e che siano
curiosi di sapere come abbia fatto a finire laggiù.
In generale la gente del posto è estremamente amichevole e anche più genuina, meno sofisticata e più serena di noi occidentali.
Serenità
- che insieme a pazienza e tolleranza - è l'aspetto che in India si finirà per sviluppare maggiormente. Ma non credo alla visione
idilliaca che la loro energia è talmente positiva e incontaminata che si finirà ad
acquisirla solamente entrando in contatto con loro. Per niente.
Pazienza, tolleranza e serenità sono di fatto una necessità per sopravvivere in India.
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Riding to the Village |
Ho realizzato ciò durante un pomeriggio che ci siamo presi liberi dal lavoro per
raggiungere la vicina cittadina dove avevamo delle faccende da
sbrigare.
All'inizio pedalando in bicicletta dalla
fattoria attraverso i tranquilli e soleggiati campi sembrava un sogno. Ascoltando la
musica e ammirando il paesaggio attorno mi resi conto che non c'era
molto più di cui avessi bisogno in quel momento. Le mucche
pascolavano tranquille indifferenti al caldo pomeridiano. La gente
sorrideva come sempre e mi sentivo particolarmente a mio agio con
l'ambiente intorno.
Ma questo sentimento non è
durato a lungo. Sulla strada principale la modernità caotica indiana mi
ha immediatamente travolto. Questa sensazione è divenuta ancor più
forte una volta preso un pulmino locale.
Mi sembrava che fosse così pieno che nient'altro potesse entrarci. Su quel veicolo che poteva contenere al massimo sette persone
saremo stati in una ventina, considerando anche quelle aggrappate fuori.
Ed ogni volta che qualcuno dalla strada faceva segno,
l'autista si fermava per farli salire. Senza la minima considerazione
per i passeggeri già presenti che erano già terribilmente ammucchiati.
Come
al solito - mi stupii nel vedere che l'impossibile diventava possibile.
Dove precedentemente non c'era neanche un centimetro per nuovi
passeggeri, spazio veniva in qualche modo creato.
Dentro il furgoncino
stavo soffrendo fisicamente e psicologicamente. Il mio corpo era
dolorante per essere schiacciato in quella maniera. Inoltre, il caldo
asfissiante, il continuo suonare dei veicoli e le urla della gente stavo mettendo a dura prova la mia pazienza e tolleranza.
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Sunset in Gajroula |
Perciò in India bisogna diventare pazienti perchè non si può fare nient'altro per cambiare la
situazione esterna, se non accettarla. Se non si è cresciuti in questo
ambiente, è una continua lotta per sopravvivere. Una lotta per non esplodere e per accettare le cose che non si possono cambiare. Questa
pazienza e tolleranza ti consentirà di uscire da alcune situazioni
senza un esaurimento nervoso.
In un paese così popoloso c'è meno spazio fisico
per i confini individuali. Quindi il concetto di
privacy e comfort - come concepito in occidente - non è tenuto in
considerazione.
Un' altra ragione è che in India - specialmente nelle zone rurali e tradizionali -
le cose devono funzionare a qualunque costo. Quello che importa è che la collettività ottenga il più
alto vantaggio, indipendentemente dalle condizioni degli individui.
Quindi sul pulmino ho respirato a fondo e creato calma dentro di me e distanza dal caos esterno.
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My Friend Shunya posing with a Buffalo |
Nel complesso il tempo trascorso nella fattoria è stato eccellente e ho imparato molto dalle differenze. Una
vera esperienza rurale indiana. Il mio amico indiano - che è cresciuto a
Mumbay ed era con me - mi ha aiutato a capire la realtà locale ed è stato
quindi come un mediatore culturale e linguistico.
Durante
gli ultimi giorni nella fattoria ha cominciato a fare molto caldo.
Durante le ore centrali della giornate la calura era tale che la mia
mente era offuscata. Avevo sperato che nel nord vicino al Nepal, le montagne dell' Himalaya provvedessero un po' di fresco, ma non era così.
Per questa ragione dopo due settimane di lavoro nella fattoria abbiamo deciso di partire per il Nepal in autostop, sperando di raggiungere temperature più miti.
English Version
May 2013
Beginning of May. A typical morning for a typical Indian day. The
breeze which provides coolness at night is slowly changing to suffocating heat.
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A Guy traveling like Spiderman on the Ceiling of the Train |
I find myself on a typically overcrowded Indian train that is slowly moving along, headed to Bareilly. The train is packed beyond imagination. An Indian friend is with me and a new adventure ahead. Many uncertainties churn my heart, and my mind worriedly tries to follow it. I stop a second to write down my impressions and register the moment.
There is an emptiness inside of me. An emptiness due to the lack of security and thus is worrysome for my rational being. It is a toughening emptiness. It shows that I am on a difficult path, yet a very authentic one, the only one that I can take. It scares me, but brings serenity if I only trust it and stop fighting. I am aware of it, but sometimes it is difficult.
After the
chaotic departure from Delhi I finally find a tiny plot on the top bunk. A surface of about twenty square centimetres allows some kind of
comfort. Squeezed between human bodies and bags, now somehow I can sit.
A farm is awaiting us. A place and an experience completely different from my original environment. This is actually one of the reasons for me to go there. Not only to see India from a different angle and away from tourists, but above all, to have a completely different experience that challenges me and will provide me with a new perspective and therefore personal growth.
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The Beautiful Bindra Farm |
The farm is the
north, near the border of Nepal, some kilometres distant from the beginning of the Himalayas.
After the journey on the train and few hours through rural towns and villages, we finally reach our destination. The farm is clean and well-kept. The owner is an old lady assisted by a number of servants and helpers in taking care of it. We are expected to work six to eight hours a day in exchange for food and accomodation.
Beside the main building, a little rustic house serves as our accommodation. The floor, like the one in the farm, is untiled. The beds are made with ropes, without mattresses. We immediately install mosquitos nets on the bed - necessary for the huge number of insects and bugs. Electricity in the hut is connected to the inefficient national power grid and thus seldom working.
The work schedule is not particularly hard. The alarm rings at dawn - around 5:30 - when still drowsy we reach the stall. There we shovel the manure and help in milking the cows - which is not so easy as I thought. Then we are served breakfast and go to the fields where we collect the grass that we will cut manually and use to feed the cattle.
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Cutting the Grass for the Cattle |
Afterwards - at around 10:30 - it is washing time: we do it with cold water in a room with a manual water fountain and a bucket. Following the bath, my friend and I do meditation on our own until the farm's cook serves the standard vegetarian lunch: an all-in-one course composed of rice,
dal - that is a lentil sauce to be poured on the rice - and other vegetables.
After lunch until 4 in the afternoon the heat makes it impossible to work. Therefore we rest, read and sometimes go for a walk to the near village. After the break we still work with the cattle and finish other works, like sowing, gardening and watering the plants. We never have electricity at night in our hut, so we go to bed early, at around ten.
The nearest village is Gajroula, which is about two kilometres away from the farm. The neighbourhood around the farm is well-kept, clean and silent. In fact, it does not even seem like India.
The road from the farm to the village is said to be at times visited by tigers from the nearby natural reserve. For this reason, one night the cowboys from the farm came worriedly to pick us up because the sun had already set and we were risking to encounter one of those predators on the way home.
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Got a Ride on a Bycicle |
The village is more modern than expected, yet still poor. It is tiny but people are everywhere. There you can realise to be in Uttar Pradesh: the most populated state of India. The size of this state is smaller than Italy, but its population is two hundred million.
In the village I feel like a Hollywood celebrity. People are not used to see
goras (i.e. white people) and thus keep looking at me. Sometimes even a small crowd gathers around us. At the beginning I was pleased by this interest, but after a while I felt invaded and sometimes bothered.
Local people are genuinely hospitable. They have good intentions and I met some interesting people. Like for example the chief of the local police who hurriedly stopped us in the street - and for a moment I was worried about it - to invite us for a drink at the local police station. We wound up sharing an amiable conversation and telling about our respective countries. Some others are more invading. Like a man who physically blocked me on the street and beseeched me to go to his place to meet his wife.
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Washing the Buffalos (and ourselves) in the Pond |
My friend explained to me that this is the kind of attitude of a
people who used to look up to the whites during the
colonial era. I believe that local people also want to practice their English, get to know a gora - who they normally see only on television - and are curious about how I ended up there.
Generally locals there are extremely friendly and also more genuine, less sophisticated and more serene than us westerners.
Serenity - together with patience and tolerance - is the main feature that in India you will end up nurturing. But I do not believe in the idyllic view that their energy is so positive that you will acquire it just by getting in touch with them. No, not at all.
Patience, tolerance and serenity are in fact a necessity to survive in India.
And I came to realise this one afternoon when we took off from work to reach the nearby town where we had some matters to
attend to.
At the beginning, while I was cycling away from the farm through the placid and sunlit fields, it seemed like a dream. By listening to my music and admiring the calm surrounding scene, I realised that I did not need much more in that moment. Cows were quietly grazing,
indifferent to the afternoon heat. People were smiling as
usual and I felt particularly at ease with the environment around.
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Cycling thorugh the nearby Fields |
But
this feeling did not last long. On the main road, the chaotic Indian modernity suddenly overwhelmed me. The feeling became even stronger when we took a small local
van. It seemed to me that it was filled to the point that nothing else
could fit in. On this vehicle, made for a maximum of maybe seven people, we were about twenty, including
those hanging outside.
And every time somebody on the street waved at the van, the driver stopped and let them in, without any consideration for the present passengers
who were already packed like sardines.
As usual - amazement took me to see that the impossible became possible. Where previously there was not even an inch for new passengers, now room was somehow created.
Inside the van, I was suffering, both physically and mentally. My body was in pain from being squeezed in such a way. In addition to that, the suffocating heat, the continuos honking of all vehicles and
the shouting of people challenged my patience and tolerance.
In India you must become patient, since there
is not much you can do about the external situation rather than accept it. If you have not grown up in such an
environment, it is a continuous struggle to survive. A struggle not to explode and
to accept the things that you cannot change. And this patience and tolerance will allow you to get out of some
situations without burning out.
In such a populated country, there is less physical space
for individual boundaries. Thus the concept of personal privacy and comfort - as conceived in the west - is not taken into account.
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With the Cowboys and their Brothers |
Another reason is that in India - especially in rural and traditional areas - things need to work, no matter what. In such a populated country, what matters is that the collectivity gets the highest payoff, regardless of the individuals' conditions.
Therefore I breathed deeply and tried to create stillness inside and distance from the external chaos.
All in all, the time spent at the farm was excellent, and I learnt a lot from the differences. A true inside rural Indian experience. My Indian friend - who grew up in Mumbai and came along - helped me to understand the local reality and acted like a cultural and linguistic mediator.
During the last days at the farm, it became very hot. In the midst of the day the heat was so strong that everything in my mind was blurry. I had hoped that in the north of India, just below Nepal, the nearby Himalayan mountains would allow for some coolness, but that was not the case.
For this reason - after two weeks of work in the farm - we decided to leave for Nepal by hitchhiking, in hopes of finding milder temperatures.