Wednesday, January 29, 2014

Vita Quotidiana a Delhi - Daily life in Delhi

English Version Below

23 Gennaio 2014

Tra lo stile di vita in India e quello in Europa c'è una differenza enorme. Questa mi salta particolarmente all'occhio ogni volta che rientro a casa a Torino.

Lady ironing on the Street
 Lo stesso Gandhi parlando delle differenze tra occidentali e indiani riscontrate in Sudafrica diceva che lo stile di vita degli indiani è caratterizzato da semplicità, dall'accontentarsi di piccoli guadagni, dall'indifferenza alle regole di igiene e sanità, dalla lentezza nel tenere i propri dintorni puliti ed ordinati e dall'avarizia nel tenere le proprie case in condizioni ottimali. (vedi "My Experiments with Truth" Parte 2, Capitolo 21).

Seppur credo che la situazione sia un pò cambiata rispetto a quella descritta da Gandhi, queste parole sono in linea di massima ancora veritiere.

Mentre la quotidianità in Europa è comoda e in qualche modo anche statica e prevedibile, vivere in India è un'esperienza completamente eclettica e dinamica. Ogni giorno c'è una sorpresa e difficilmente si sarà annoiati.

Anche in una città come Delhi – la quale sta migliorando molto in termini di servizi e di sviluppo – questi aspetti sono ancora ben presenti.

Inoltre se si è disposti ad affrontare qualche scomodità nella vita quotidiana, presto si potrà realizzare che l'India è la terra delle opportunità.

Un incredibile numero di attività possono essere fatte con una quantità di soldi minima: come per esempio viaggiare, fare trekking sulle montagne o praticare yoga, giusto per citarne alcune.

Per strada si trovano persone che eseguono ogni tipo di lavoro e che possono rendere la tua vita estremamente facile. Se per esempio ti si rompe una scarpa e sei nel bel mezzo della strada non bisogna preoccuparsi, ci sono molti calzolai di strada che te la possono riparare all'istante. O magari sei affamato o vuoi semplicemente un chay? In India puoi trovare cibo o banchetti per il te per strada ad ogni angolo.

O se per esempio stai camminando e vedi qualcuno che insistentemente sta puntando ai tuoi piedi, non prenderlo per pazzo, probabilmente ti sta offrendo di pulire o riparare le tue scarpe. Addirittura puoi trovare degli uomini che con un cottonfiock ti offrono di pulirti le orecchie per strada.

Vivendo e lavorando in una città come Delhi ho potuto vedere che l'India offre anche una realtà lavorativa in movimento e piena di opportunità, dove è molto facile inventarsi e partecipare in progetti e lavori diversi.

Ne parlerò più in dettaglio nei prossimi post.


 English Version

23 January 2014

The Indian lifestyle is greatly different from that of Europe. This difference is particularly evident to me each time I get back home.
Street Tailor
Gandhi himself reffered to the Indian way of living as characterised by simplicity, contentment with small gains, indifference to the laws of hygiene and sanitation, slowness in keeping the surroundings clean and tidy and stinginess in keeping the houses in good conditions. (see "My Experiments with Truth" Part 2, Chapter 21).

Even though I believe that this situation has probably changed, the bulk of these words still hold true.

While life in Europe is comfortable and to some extent even static and predictable, living in India is a totally eclectic and dynamic experience. Every day you can be surprised and you will hardly feel bored.

However, if you can cope with some inconveniences in the daily life, you will soon realise that India is the land of opportunities. An incredible range of activities can be done with a minimum amount of money: such as traveling, hiking in the mountains or practing yoga just to mention some.

On the street you will find people who perform every kind of job and can make your life extremely easy. For example, one of your shoes breaks and you are in the middle of the street? No worry, there are plenty of street cobblers who can fix it for you. Or maybe you are hungry or just want a chai? In India you can find food and chai basically at every corner. 

Or if you are walking and somebody insistently points to your feet, don't take him for foolish, probably he is just offering you to clean or to fix your shoes. On the street you can even find people whose job is just to clean the ears of passers-by with a cotton-fiock.

By living and working in Delhi I could also realise that India boasts an incredibly dynamic working envorinment full of opportunities, where it is rather easy create your own job and take part in various projects and jobs.

I will talk about it more in detail in the next posts.

Friday, October 25, 2013

Weekend a Rishikesh

Come ho avuto modo di dire nel precedente post le prime settimane di ambientamento a Delhi non sono state sempre facili. 

C'erano tante cose da sistemare e affrontare una quotidianità' in una città indiana di sedici milioni di abitanti non e' proprio una passeggiata, soprattutto all'inizio.

La prima cosa che si nota a Delhi sono i contrasti e le contraddizioni estreme. La notte sulla strada a pochi metri da quartieri benestanti dove sono parcheggiate macchine costosissime si vede gente dormire sul marciapiede. Oppure si gira l'angolo e si passa da una zona pulita e benestante ad un'altra che sembra essere una discarica a cielo aperto con di fianco miseria e baracche ovunque.

Quello che stupisce non sono solo i contrasti, ma che questi estremi convivano tutto sommato senza troppi attriti. Infatti entrando in un quartiere ricco non ci sono troppi controlli e non sembra di arrivare in una fortezza fatta per tenere fuori i più poveri.

A parte le ovvietà che spesso si sentono sulle condizioni igieniche e di pulizia dell'India quello che mi interessa sottolineare e' la mia esperienza personale.

Delhi e' una città che mi sta mettendo continuativamente alla prova. Ogni giorno c'e' qualcosa di nuovo che capita e bisogna riadattarsi cercando di non rimanere troppo rigido - come molti occidentali fanno - per potersi godere pienamente questa realtà ma neanche troppo ingenui per non farsi fregare ad ogni angolo, cosa molto comune soprattutto nelle grandi città.

Una sfida per mantenere la calma con i guidatori di risciò che ti provano continuamente a fregare e per sopravvivere ai rumori, al caos e alla folla di una città di queste dimensioni. Ma anche una sfida quotidiana per non stare sempre male e sentirsi in colpa nel vedere situazioni di degrado diffuso - soprattutto nella zona dove lavoro.

Ogni tanto Delhi sembra un luogo che ti toglie tutte le energie. Uscire di casa e andare in giro per la città e' come entrare dentro una centrifuga che ti risucchia, sballottola qua e la' finché non ti risputa fuori esausto, confuso e nauseante.

Per questo ne ho approfittato di un weekend lungo per prendere una pausa da tutto ciò e andare a Rishikesh, che si trova a poche ore da Delhi. 

A Rishikesh sono arrivato di sabato mattino presto con un bus notturno da Delhi, passando per Haridwar. Passare la notte in viaggio e vedere le prime luci dell'alba ha sempre una magia particolare. La vita si risveglia e ci si sente particolarmente positivi per il ritorno del sole.

Rishikesh al mio arrivo
Giungere a Rishikesh a quest'ora consente di godersi uno spettacolo stupendo: il Gange che scorre lento e maestoso incastonato tra le montagne verdi e spioventi mentre alcuni uomini si immergono per il bagno mattutino.

Arrivando dal caos Delhi e immergersi nel relativo silenzio di Rishikesh fa capire come questa quiete sia una medicina per il corpo e la mente.

Vedere spazi aperti, farsi incantare dal Gange, godersi una tranquillità' ed una natura relativamente pulita e silenziosa, respirare aria fresca in un ambiente dove si percepisce la sacralità' del posto e' un'esperienza che mi ha subito ricaricato.

Mi sono sistemato in un ashram consigliato da Adriano, un italiano profondo conoscitore dell' India che ho conosciuto alla stazione di Delhi. 

Ho quindi trascorso tre giorni in questo ashram immerso nel verde in un angolo tranquillo di Rishikesh - lontano da altre zone più turistiche e trafficate - e che offre sessioni di yoga, meditazione e vari tipi di seminari come sulla alimentazione ayurvedica.

In un ambiente simile anche gli incontri diventano più autentici, meno dettati dagli orari e dalle scadenze ma più dalla spontaneità del momento e dalla bellezza del posto.

Si ritrova un'India più armonica, meno caotica e corrotta e meno ansiosa di rincorrere la modernità ad ogni costo come fa Delhi. Si capisce che questa e' l'India che ha affascinato molti viaggiatori di ogni epoca.

Questi tre giorni mi hanno ricaricato e convinto che l'unico modo per restare a lungo in una città come Delhi sia quello di muoversi appena possibile per ritrovare questi angoli di tranquillità e bellezza indiana.





Cercare di comunicare con una scimmia che rimane totalmente indifferente alla mia presenza




Sadhu che prova a suonare il guitalele


Ashram dove risiedevo


Vista di Rishikesh


Puja al Gange


Con Adriano, italiano conosciuto alla stazione di Delhi


Rose, ragazza americana conosciuta all'ashram e una bambina che ci ha appena dato i fiori per la puja

Tuesday, October 15, 2013

Ritorno in India


13 Ottobre 2013

In questo post cercherò di rispondere a coloro che mi hanno chiesto dove sono e che cosa ne e' stato del viaggio e del blog.
Dopo aver 'rotolato' verso est per nove mesi ho sentito l'esigenza di tornare a casa, alle mie radici che mi stavano in un certo senso richiamando e di cui onestamente sentivo la mancanza. 

Ho trascorso l'estate in Italia a contatto con la mia famiglia, i miei amici, la mia lingua, la mia cultura, i mie profumi, il mio cibo, i miei colori e la mia musica.

Con i bambini nel centro dove lavoro
Ritornare dopo il lungo viaggio mi ha consentito di vedere il mio paese da una prospettiva diversa e di fare esperienze alternative di scoperte, festival, raduni nella tranquillità di un ambiente familiare.

In un certo senso mi sono ricaricato e ho potuto vedere anche il viaggio in prospettiva e decidere il da farsi dalla tranquillità e comodità di casa.

Devo ammettere che dopo nove mesi on the road, all'inizio mi sono sentito spaesato. E' come se tornando al proprio ambiente di origine, la vecchia parte di me si fosse subito riabituata e fosse riemersa andandosi a scontrare con quell'altra che si era sviluppata durante il viaggio in solitaria.

Un po' per mancanza di motivazione - in quanto non più in viaggio - e un po' per pigrizia ho trascurato il blog durante gli ultimi mesi e me ne scuso con coloro che mi seguivano.

In ogni caso ora sono in India, a Nuova Delhi dove ho deciso che mi stabilirò per qualche mese. Questa nuova esperienza rappresenta l'atto secondo del viaggio intrapreso l'anno scorso anche se da una prospettiva diversa.

Essere a lungo in viaggio in solitaria e' un'esperienza eccezionale di scoperta di se stessi, prima ancora che di altri posti e luoghi. Si vede come si reagisce di fronte a situazioni e contesti diversi e soprattutto ai propri limiti. Si capisce cosa e' giusto per se stessi al di la' di tutti i condizionamenti del nostro ambiente originario ma anche dalle idee sul viaggio di altre persone che spesso eccitano ma che poi si rivelano inadatte a se. 

Ritengo sia giusto spingersi verso i propri limiti cercando di superare le proprie paure – vedendo che spesso sono infondate – ma poi non spingersi oltre questi limiti ma accettarli e focalizzarsi invece sulle cose che ci fanno stare bene sul momento.

Ecco dopo nove mesi di viaggio ho realizzato di aver bisogno di fermarmi e costruire qualcosa e quindi di un'esperienza diversa. Avrei potuto viaggiare probabilmente qualche mese con i mezzi ancora a disposizione ma ho deciso di fermarmi in un posto. Ho bisogno di quotidianità e mi sono accorto che si puo' benissimo continuare a lavorare su stessi e vivere la propria vita come un'avventura senza necessariamente essere costantemente in movimento.

Quindi eccomi in India. Il paese dove ho trascorso più tempo durante i nove mesi e che in qualche modo mi ha richiamato, al di la' di tutte le mie preoccupazioni per le condizioni diverse ed anche estreme.

Perché l'India? Questa e' una domanda che mi viene posta molto frequentemente. Innanzitutto, l'India e' un paese con tantissimo da offrire – in termini di diversità di culture, natura e realtà umane. Inoltre l'India e' un po' la patria delle esperienze alternative, spirituali e di divertimento che mi stanno appassionando.

L'India rappresenta anche una realtà estremamente diversa dalla nostra occidentale, anche se ovviamente per molte cose sta cambiando velocemente spinta dalla globalizzazione.

Quindi immergersi in un ambiente cosi' diverso come l'India offre una nuova prospettiva differente che inevitabilmente porta ad una crescita personale.

Avevo valutato anche di fare questa esperienza simile in Iran ma avevo poi scartato questa opzione. Il paese e' stupendo ma molto più simile all'occidente di quanto si pensi. Inoltre si percepisce forte la pressione del governo che si intromette nella vita privata delle persone - principalmente iraniani ma anche stranieri - ed alla lunga e' insopportabile.

Perché Delhi? Anche questa e' una domanda che mi viene posta spesso. Ho scelto Delhi per una serie di coincidenze. In primis durante l'estate ho vagliato diverse organizzazioni locali in India e Nepal con le quali collaborare e ne ho trovata una di Delhi che mi e' sembrata la piu' affidabile.

Lodhi Garden a Delhi
Inoltre, Delhi e' una città enorme con tantissime opportunità di lavoro per stranieri. Infine Delhi si trova vicino a città e zone e città che vorrei esplorare e conoscere meglio (come per esempio il Kashmir). 

Quindi l'idea e' di avere un punto di riferimento qui in India e quando ho un po' di tempo libero viaggiare nei paraggi. Inoltre dato che i fondi stanno finendo, Delhi mi può offrire anche la possibilità di trovare un lavoro remunerato.

Non so cosa faro' dopo Delhi. Ho una vaga idea di dove indirizzarmi durante i prossimi mesi ma i programmi potrebbero cambiare.

Per ora sto lavorando come volontario con una organizzazione non governativa indiana (ONG) che si occupa di istruzione, sanità e sviluppo della comunità' locale tramite un lavoro fatto su bambini e donne. Per il momento seguo dei bambini in due centri che si trovano nelle baraccopoli di Delhi, a cui principalmente insegno inglese.

Sto realizzando che i bambini hanno tantissimo da insegnarmi – a dire il vero mi sembra di stare imparando più io da loro che loro da me. La spontaneità di questi bambini provenienti da situazioni disagiate mi riempie di energia e mi mette alla prova ogni momento in cui sono con loro.

Tuttavia non e' sempre facile. Per esempio la settimana scorsa ho cominciato a lavorare nella scuola del quartiere più disagiato e devo dire che il contatto con le condizioni di questa zona ha messo alla prova la mia motivazione ad andare avanti. Inoltre un forte diluvio - fuori dalla stagione delle piogge - ha abbassato notevolmente le temperature e ha inondato le strade che portano al quartiere dove lavoro. Un po' per il freddo portato dalla pioggia e un po' per lo shock di vedere quelle condizioni ho trascorso quasi due giorni chiuso in casa a guardare il soffitto con un mal di testa che mi toglieva l'appetito e non mi consentiva di fare niente.

Per ora le prime due settimane qui – sono arrivato il 26 settembre – le ho trascorse ad ambientarmi, trovare casa, capire come funziona per il lavoro, sbrigare faccende burocratiche, crearmi una connessione ad internet e soprattutto cercando di trovare un modo per affrontare i problemi della vita quotidiana in India.

Per ora questi sono gli ultimi aggiornamenti, sul blog i prossimi sviluppi!

Namaste!


Monday, September 9, 2013

(27) Arrivati in Nepal // Arrived in Nepal


English Version Below

Fine Maggio 2013

Al mattino presto di un giorno di fine Maggio io e Shunya abbiamo lasciato l'India per dirigerci in autostop verso le alture del Nepal.

With Nepalese Women
Eravamo entusiasti di provare l'avventura dell'autostop in un paese dove le persone non conoscono questa pratica.

Una temperatura piacevole ci era concessa dall'oscurità che si stava lentamente tramutando in luce con l'arrivo del sole. Dopo esserci congedati dalle persone della fattoria, ci siamo incamminati verso la strada principale.

Il confine vicino a Mahendranagar – sul versante sud est del Nepal – era distante soltanto sessanta kilometri ma ci sono volute diverse ore per raggiungerlo.

Fare l'autostop in India si e' rilevato piu' facile del previsto. Molte persone erano disponibili ad aiutarci e diversi tipi di mezzi di trasporto ci hanno caricato: camion, macchine, motociclette, un trattore, furgoncini e addirittura un carretto trainato da un bue.

Dopo alcune ore attraverso villaggi e foreste abitate anche da molte scimmie, abbiamo finalmente raggiunto la parte finale del territorio indiano. La via per il Nepal consisteva in un ponte di metallo blu e un paio di kilometri di strada sterrata da percorrere a piedi o in motocicletta poiche' le macchine non potevano passarci. Il passaggio di frontiera era alla fine di questa strada.

Bridge from India to Nepal
Abbrustoliti dal sole ed emozionati per poter entrare in un paese nuovo – per Shunya era la prima volta che si recava all'estero – abbiamo percorso quest'ultima parte e finalmente raggiunto il Nepal.

Abbiamo aspettato qualche ora Mahendranagar - prima cittadina dopo il confine - per un bus diretto verso ovest – verso le zone piu' famose intorno a Pokhara e Kathmandu, nel centro del paese.

Nonostante il Nepal sia molto simile all'India - entrambi a forte maggioranza Hindu - appena attraversato il confine abbiamo notato alcune differenze.

Per prima cosa le donne appaiono piu' emancipate. Le donne nepalesi - anche nelle zone rurali - non sembrano impaurite a guardare e parlare con gli stranieri e in generale si mescolano di più con gli uomini che in India.

In secondo luogo, paragonata all'India, la societa' nepalese sembra piu' influenzata dall'occidente e dalla globalizzazione. In generale, i nepalesi ascoltano piu' musica occidentale e si comportano piu' come gli occidentali.

Inoltre, si puo' percepire una pressione sociale minore che in India, dove gli individui sono spinti - attraverso regole non scritte - a conformarsi ai comportamenti che la tradizione impone. Anche nella zone rurali del Nepal le persone sembrado poter godere di maggior liberta' personale e sembrano – sempre rispetto all' India – piu' individualisti.

Pokhara, Nepal
D'altro lato, manca quella forte rete di interconnessioni personali che tiene la societa' insieme e fa sentire le persone al sicuro e parte della comunita'. Questa rete garantisce solidarita' ma limita le scelte individuali in cambio di sicurezza.

Quindi questa disgregazione sociale - dovuta a livelli di povertà ancora elevati insieme all'acquisizione di idee aliene alla cultura locale – ha condotto a problemi di prostituzione, abuso di alcool e droga.

Infine il Nepal sembra essere leggermente più sviluppato e funzionare un pò meglio dell'India. Questa impressione è probabilmente dovuta alla densità di popolazione nettamente inferiore rispetto all'India e al relativo alto numero di turisti.

Con queste impressioni abbiamo preso un bus locale stracolmo verso Pokhara, dove abbiamo trascorso qualche giorno prima di andare a Kathmandu, da dove Shunya ha poi preso un volo per ritornare in India.


English Version

End of May 2013

In the early morning of a day at the end of May, I and Shunya departed from India to head towards the highs of Nepal by hitching.

Shunya on the oxcart with our bags
We were enthusiastic about the adventure of hitchhiking in a country where people are not acquainted with this concept.

A pleasant temperature was granted by the darkness that was slowly turning into light by the approaching sun. After saying goodbye to the people of the farm we started walking towards the main road.

The border crossing at Mahendranagar - at the south east side of Nepal - was only sixty kilometres away but it took many hours to reach it.

Hitchhiking in India turned out to be easier than expected. Many people were willing to help us and different kinds of vehicles gave us a lift: trucks, cars, motorbikes, vans, a tractor, and even an oxcart.

After some hours moving through villages and forests populated also by many monkeys we finally reached the final part of the Indian territory. The only way leading to Nepal consisted of a blue metal bridge and a dirty road for pedestrians and motorbikes, since cars could not cross it. The border crossing lied at the end of this road.

The sun was stinging us and we were excited about seeing a new country – for Shunya it was the first time he left India – when we went through this final part and finally entered Nepal.

Village Chisapani, on the way to Pokhara
In the first town after the border - Mahendrnagar - we waited some hours for a bus directed westward to the more popular areas - for westerners - around Kathmandu and Pokhara, in the central area of the country.

Although Nepal is very similar to India - both are predominantely Hindu countries – as soon as we crossed the border we noticed some differences.

Firstly, women appear more emancipated. Nepalese women – even in rural areas - are not intimidated to look and to talk with foreigners and in general they mingle more with men than in India.

Secondly, in comparison to India, the Nepalese society seems to be more influenced by the west and by the globalisation. In general, Nepalese listen more to Western music and behave more like westerners.

Also, you can feel a minor social pressure than in India, where individuals through unwritten rules are pushed to comply with traditional behaviours. Even in rural areas in Nepal, people seem to enjoy more personal freedom and are relatively more individualistic.

On the Roof of a Nepalese Bus with Shunya
On the other side of the coin, it lacks the strong cobweb of personal interconnections that keeps the society together and makes people feeling secure and part of the community. This net provides solidarity but restrains the individual's choices in exchange of security.

Hence, this social disgregation – due to poverty coupled with the assimilation of western ideas that are alien to the local culture – has led to problems of prostitution, abuse of alcohol and of drugs.

Finally Nepal appears to be slightly more developed and to function moderately better than India. This impression is probably due to the much lower population density and to the relatively high number of tourists.

With these impressions we jumped on a packed local bus for Pokhara, where we spent some time before going to Kathmandu, from where Shunya caught his flight for India.

Tuesday, July 2, 2013

(26) Working in a farm in Northern India

English Version Below

Maggio 2013

Delhi Station in the Morning
Inizio di Maggio. Un normale mattino di un normale giorno in India. La brezza che porta rinfresco nella notte sta lasciando spazio ad un caldo soffocante.

Mi trovo su di un treno indiano sovraffollato come sempre, che si sta lentamente muovendo, diretto verso Bareilly. Il treno è pieno zeppo, oltre l'immaginabile. Un amico indiano è con me e una nuova avventura si prospetta. Molte incertezze agitano il mio animo e la mia mente cerca ansiosamente di seguirlo. Mi fermo un secondo per scrivere le impressioni e registrare il momento.

C'è un vuoto dentro me. Un vuoto dato dalla mancanza di sicurezze e che quindi fa paura al mio essere razionale. Un vuoto che tempra. Indica che si è sul percorso più difficile ma anche più autentico, l'unico che si possa prendere. Fa paura ma porta serenità, se uno non ci si affida e smette di combatterlo. Ne sono consapevole ma qualche volta è difficile.

Dopo la caotica partenza da Delhi ho finalmente trovato un piccolo spazio sulla cuccetta superiore. Una superficie di circa venti centimetri quadrati mi consente un qualche tipo di comfort. Schiacciato tra corpi umani e bagagli ora posso almeno sedermi.

Una fattoria ci sta aspettando. Un posto e un'esperienza completamente diversi dal mio ambiente d'origine. Questa è per me una delle ragioni per andarci. Non solo per vedere l'India da un'ottica diversa e lontano dai turisti. Ma soprattutto per fare un'esperienza completamente differente che mi metta alla prova e che mi dia una prospettiva nuova e quindi mi consenta di crescere.

La fattoria si trova nel nord, vicino al confine con il Nepal a qualche chilometro di distanza dai piedi dell'Himalaya.

Dopo il viaggio in treno e qualche ora attraverso cittadine e villaggi rurali finalmente giungiamo a destinazione. La fattoria è pulita e ben tenuta. La proprietaria è una signora anziana che è assistita da vari domestici e aiutanti nella cura di essa. Da noi si aspettano che lavoriamo per sei/otto ore al giorno in cambio di vitto e alloggio.

Our Accommodation in the Farm
Di fianco all'edificio principale c'è una piccola casetta che ci viene data come sistemazione. Il pavimento - come nella fattoria - non è piastrellato. I letti sono senza materassi e fatti con delle corde. Appena arrivati mettiamo delle zanzariere sui letti che sono necessarie per il grande numero di insetti. L'elettricità nel nostro rifugio è connessa alla rete elettrica nazionale che è inefficiente e quindi funziona raramente.

L'orario di lavoro non è particolarmente duro. La sveglia suona all'alba - intorno alle 5:30 - quando, ancora assonnati, raggiungiamo la stalla. Lì spaliamo il letame e aiutiamo a mungere le mucche - che non è così facile come pensavo. Dopodiché ci viene servita colazione e andiamo ai campi a raccogliere l'erba che taglieremo manualmente e che verrà usata come mangime per i bovini.

Successivamente - circa alle 10:30 - è l'ora per lavarsi con acqua fredda in una stanza con una fontana a mano ed un secchio. Dopo il bagno io ed il mio amico facciamo meditazione per conto nostro finché il cuoco non serve il pranzo vegetariano standard: un piatto unico composto da riso, dal - cioè una salsa di lenticchie che va versata sul riso - e altre verdure.

Lunch in the Farm
Dopo pranzo fino alle quattro di pomeriggio l'afa rende impossibile lavorare. Quindi ci riposiamo, leggiamo e qualche volta facciamo un giro al villaggio vicino. Dopo la pausa lavoriamo ancora con il bestiame e facciamo altri lavori come semina, giardinaggio e innaffiare le piante. Alla sera non c'è elettricità nella nostra casupola quindi andiamo a letto presto, intorno alle dieci.

Il villaggio più prossimo è Gajroula, il quale si trova a circa due chilometri dalla fattoria. La zona immediatamemente intorno alla fattoria è curata, pulita e silenziosa. In effetti non sembra neanche di essere in India.

Si dice che la strada che porta al villaggio sia di tanto in tanto visitata dalle tigri della vicina riserva naturale. Per questa ragione una sera i cowboy della fattoria tutti ansiosi sono venuti a recuperarci al villaggio perchè il sole era già tramontato e c'era il rischio di un incontro con questi predatori sulla strada verso casa.

Il villaggio è più moderno di quanto ci aspettassimo, benché povero. E' piccolo ma c'è gente ovunque. Infatti si realizza di essere in Uttar Pradesh, lo stato indiano più popoloso. Il territorio di questo stato è più piccolo dell'Italia ma conta una popolazione di duecento milioni di individui.


Quando andiamo al villaggio mi sento come una celebrità di Hollywood. La gente non è abituata a vedere i goras  (cioè i bianchi) e quindi mi guardano incuriositi e qualche volta addirittura una piccola folla si riunisce intorno a noi. All'inizio ero compiaciuto di tutta quest'importanza ma dopo un po' mi sono sentito invaso e qualche volta infastidito.

Local Market (Pilibhit)
Le gente del posto è genuinamente ospitale. Hanno buone intenzioni e ho incontrato persone interessanti. Come per esempio il capo della polizia locale che ci ha fatto fermare per strada in fretta e furia - il che per un momento mi preoccupò un po' - per poi invitarci a bere qualcosa alla stazione di polizia locale. Quindi siamo finiti a chiacchierare amichevolmente e a raccontarci dei nostri rispettivi paesi. Tuttavia qualcun'altro è più invadente. Come ad esempio un uomo che mi ha fisicamente bloccato per strada e implorato di andare a casa sua per incontrare sua moglie.

Il mio amico mi ha poi spiegato che questo è un tipo di atteggiamento di un popolo che è abituato a guardare con ammirazione i bianchi durante l'era coloniale. Credo che la gente del posto voglia anche praticare l'inglese, conoscere un gora che in genere vedono solo in televisione e che siano curiosi di sapere come abbia fatto a finire laggiù.

In generale la gente del posto è estremamente amichevole e anche più genuina, meno sofisticata e più serena di noi occidentali.

Serenità - che insieme a pazienza e tolleranza - è l'aspetto che in India si finirà  per sviluppare maggiormente. Ma non credo alla visione idilliaca che la loro energia è talmente positiva e incontaminata che si finirà ad acquisirla solamente entrando in contatto con loro. Per niente.

Pazienza, tolleranza e serenità sono di fatto una necessità per sopravvivere in India. 

Riding to the Village
Ho realizzato ciò durante un pomeriggio che ci siamo presi liberi dal lavoro per raggiungere la vicina cittadina dove avevamo delle faccende da sbrigare.

All'inizio pedalando in bicicletta dalla fattoria attraverso i tranquilli e soleggiati campi sembrava un sogno. Ascoltando la musica e ammirando il paesaggio attorno mi resi conto che non c'era molto più di cui avessi bisogno in quel momento. Le mucche pascolavano tranquille indifferenti al caldo pomeridiano. La gente sorrideva come sempre e mi sentivo particolarmente a mio agio con l'ambiente intorno.

Ma questo sentimento non è durato a lungo. Sulla strada principale la modernità caotica indiana mi ha immediatamente travolto. Questa sensazione è divenuta ancor più forte una volta preso un pulmino locale. Mi sembrava che fosse così pieno che nient'altro potesse entrarci. Su quel veicolo che poteva contenere al massimo sette persone saremo stati in una ventina, considerando anche quelle aggrappate fuori.


Ed ogni volta che qualcuno dalla strada faceva segno, l'autista si fermava per farli salire. Senza la minima considerazione per i passeggeri già presenti che erano già terribilmente ammucchiati.

Come al solito - mi stupii nel vedere che l'impossibile diventava possibile. Dove precedentemente non c'era neanche un centimetro per nuovi passeggeri, spazio veniva in qualche modo creato.

Dentro il furgoncino stavo soffrendo fisicamente e psicologicamente. Il mio corpo era dolorante per essere schiacciato in quella maniera. Inoltre, il caldo asfissiante, il continuo suonare dei veicoli e le urla della gente stavo mettendo a dura prova la mia pazienza e tolleranza. 

Sunset in Gajroula
Perciò in India bisogna diventare pazienti perchè non si può fare nient'altro per cambiare la situazione esterna, se non accettarla. Se non si è cresciuti in questo ambiente, è una continua lotta per sopravvivere. Una lotta per non esplodere e per accettare le cose che non si possono cambiare. Questa pazienza e tolleranza ti consentirà di uscire da alcune situazioni senza un esaurimento nervoso.

In un paese così popoloso c'è meno spazio fisico per i confini individuali. Quindi il concetto di privacy e comfort - come concepito in occidente - non è tenuto in considerazione. 

Un' altra ragione è che in India - specialmente nelle zone rurali e tradizionali -  le cose devono funzionare a qualunque costo. Quello che importa è che la collettività ottenga il più alto vantaggio, indipendentemente dalle condizioni degli individui.

Quindi sul pulmino ho respirato a fondo e creato calma dentro di me e distanza dal caos esterno.

My Friend Shunya posing with a Buffalo
Nel complesso il tempo trascorso nella fattoria è stato eccellente e ho imparato molto dalle differenze. Una vera esperienza rurale indiana. Il mio amico indiano - che è cresciuto a Mumbay ed era con me - mi ha aiutato a capire la realtà locale ed è stato quindi come un mediatore culturale e linguistico.

Durante gli ultimi giorni nella fattoria ha cominciato a fare molto caldo. Durante le ore centrali della giornate la calura era tale che la mia mente era offuscata. Avevo sperato che nel nord vicino al Nepal, le montagne dell' Himalaya provvedessero un po' di fresco, ma non era così.

Per questa ragione dopo due settimane di lavoro nella fattoria abbiamo deciso di partire per il Nepal in autostop, sperando di raggiungere temperature più miti.





English Version

May 2013

Beginning of May. A typical morning for a typical Indian day. The breeze which provides coolness at night is slowly changing to suffocating heat.

A Guy traveling like Spiderman on the Ceiling of the Train
I find myself on a typically overcrowded Indian train that is slowly moving along, headed to Bareilly. The train is packed beyond imagination. An Indian friend is with me and a new adventure ahead. Many uncertainties churn my heart, and my mind worriedly tries to follow it. I stop a second to write down my impressions and register the moment.

There is an emptiness inside of me. An emptiness due to the lack of security and thus is worrysome for my rational being. It is a toughening emptiness. It shows that I am on a difficult path, yet a very authentic one, the only one that I can take. It scares me, but brings serenity if I only trust it and stop fighting. I am aware of it, but sometimes it is difficult.

After the chaotic departure from Delhi I finally find a tiny plot on the top bunk. A surface of about twenty square centimetres allows some kind of comfort. Squeezed between human bodies and bags, now somehow I can sit.

A farm is awaiting us. A place and an experience completely different from my original environment. This is actually one of the reasons for me to go there. Not only to see India from a different angle and away from tourists, but above all, to have a completely different experience that challenges me and will provide me with a new perspective and therefore personal growth.

The Beautiful Bindra Farm
The farm is the north, near the border of Nepal, some kilometres distant from the beginning of the Himalayas.

After the journey on the train and few hours through rural towns and villages, we finally reach our destination. The farm is clean and well-kept. The owner is an old lady assisted by a number of servants and helpers in taking care of it. We are expected to work six to eight hours a day in exchange for food and accomodation.

Beside the main building, a little rustic house serves as our accommodation. The floor, like the one in the farm, is untiled. The beds are made with ropes, without mattresses. We immediately install mosquitos nets on the bed - necessary for the huge number of insects and bugs. Electricity in the hut is connected to the inefficient national power grid and thus seldom working.

The work schedule is not particularly hard. The alarm rings at dawn - around 5:30 - when still drowsy we reach the stall. There we shovel the manure and help in milking the cows - which is not so easy as I thought. Then we are served breakfast and go to the fields where we collect the grass that we will cut manually and use to feed the cattle.

Cutting the Grass for the Cattle
Afterwards - at around 10:30 - it is washing time: we do it with cold water in a room with a manual water fountain and a bucket. Following the bath, my friend and I do meditation on our own until the farm's cook serves the standard vegetarian lunch: an all-in-one course composed of rice, dal - that is a lentil sauce to be poured on the rice - and other vegetables.

After lunch until 4 in the afternoon the heat makes it impossible to work. Therefore we rest, read and sometimes go for a walk to the near village. After the break we still work with the cattle and finish other works, like sowing, gardening and watering the plants. We never have electricity at night in our hut, so we go to bed early, at around ten.


The nearest village is Gajroula, which is about two kilometres away from the farm. The neighbourhood around the farm is well-kept, clean and silent. In fact, it does not even seem like India.

The road from the farm to the village is said to be at times visited by tigers from the nearby natural reserve. For this reason, one night the cowboys from the farm came worriedly to pick us up because the sun had already set and we were risking to encounter one of those predators on the way home.

Got a Ride on a Bycicle
The village is more modern than expected, yet still poor. It is tiny but people are everywhere. There you can realise to be in Uttar Pradesh: the most populated state of India. The size of this state is smaller than Italy, but its population is two hundred million. 

In the village I feel like a Hollywood celebrity. People are not used to see goras (i.e. white people) and thus keep looking at me. Sometimes even a small crowd gathers around us. At the beginning I was pleased by this interest, but after a while I felt invaded and sometimes bothered.

Local people are genuinely hospitable. They have good intentions and I met some interesting people. Like for example the chief of the local police who hurriedly stopped us in the street - and for a moment I was worried about it - to invite us for a drink at the local police station. We wound up sharing an amiable conversation and telling about our respective countries. Some others are more invading. Like a man who physically blocked me on the street and beseeched me to go to his place to meet his wife.

Washing the Buffalos (and ourselves) in the Pond
My friend explained to me that this is the kind of attitude of a people who used to look up to the whites during the colonial era. I believe that local people also want to practice their English, get to know a gora - who they normally see only on television - and are curious about how I ended up there.

Generally locals there are extremely friendly and also more genuine, less sophisticated and more serene than us westerners.

Serenity - together with patience and tolerance - is the main feature that in India you will end up nurturing. But I do not believe in the idyllic view that their energy is so positive that you will acquire it just by getting in touch with them. No, not at all. 

Patience, tolerance and serenity are in fact a necessity to survive in India.

And I came to realise this one afternoon when we took off from work to reach the nearby town where we had some matters to attend to.

At the beginning, while I was cycling away from the farm through the placid and sunlit fields, it seemed like a dream. By listening to my music and admiring the calm surrounding scene, I realised that I did not need much more in that moment. Cows were quietly grazing, indifferent to the afternoon heat. People were smiling as usual and I felt particularly at ease with the environment around.

Cycling thorugh the nearby Fields
But this feeling did not last long. On the main road, the chaotic Indian modernity suddenly overwhelmed me. The feeling became even stronger when we took a small local van. It seemed to me that it was filled to the point that nothing else could fit in. On this vehicle, made for a maximum of maybe seven people, we were about twenty, including those hanging outside.

And every time somebody on the street waved at the van, the driver stopped and let them in, without any consideration for the present passengers who were already packed like sardines. 

As usual - amazement took me to see that the impossible became possible. Where previously there was not even an inch for new passengers, now room was somehow created. 

Inside the van, I was suffering, both physically and mentally. My body was in pain from being squeezed in such a way. In addition to that, the suffocating heat, the continuos honking of all vehicles and the shouting of people challenged my patience and tolerance.

In India you must become patient, since there is not much you can do about the external situation rather than accept it. If you have not grown up in such an environment, it is a continuous struggle to survive. A struggle not to explode and to accept the things that you cannot change. And this patience and tolerance will allow you to get out of some situations without burning out.

In such a populated country, there is less physical space for individual boundaries. Thus the concept of personal privacy and comfort - as conceived in the west - is not taken into account.

With the Cowboys and their Brothers
Another reason is that in India - especially in rural and traditional areas - things need to work, no matter what. In such a populated country, what matters is that the collectivity gets the highest payoff, regardless of the individuals' conditions.

Therefore I breathed deeply and tried to create stillness inside and distance from the external chaos.

All in all, the time spent at the farm was excellent, and I learnt a lot from the differences. A true inside rural Indian experience. My Indian friend - who grew up in Mumbai and came along - helped me to understand the local reality and acted like a cultural and linguistic mediator.


During the last days at the farm, it became very hot. In the midst of the day the heat was so strong that everything in my mind was blurry. I had hoped that in the north of India, just below Nepal, the nearby Himalayan mountains would allow for some coolness, but that was not the case.

For this reason - after two weeks of work in the farm - we decided to leave for Nepal by hitchhiking, in hopes of finding milder temperatures. 

Monday, June 17, 2013

(25) Due Meditazioni di Osho: No-Mind e Dinamica // Two Osho Meditations: No-Mind and Dynamic

English Version Below


Spesso mi viene chiesto delle meditazioni di Osho. In questo post cercherò di spiegare brevemente due importanti meditazioni di Osho che ho potuto praticare in India: No-Mind e Dinamica.

La meditazione No-Mind è divisa in tre fasi. La prima dura quaranta minuti durante i quali si pronunciano suoni senza senso, per esempio si mima un linguaggio che non si conosce.

E' particolarmente importante evitare parole di ogni linguaggio conosciuto. La mente funziona tramite parole che sono come anelli di una catena, ogni parola conduce ad un'altra in un circolo vizioso sul quale abbiamo poco controllo. Quando si presenta un pensiero od un'idea, cerchiamo la sua causa (volgendoci al passato) e guardiamo ai suoi potenziali effetti e soluzioni (futuro). Questo processo è automatico e quasi completamente inutile poichè viene ripetuto identicamente più e più volte, più di quanto in verità necessario per le risolvere le questioni pratiche della vita quotidiana.

Inoltre, concentrentando la nostra introspezione sulle parole spostiamo la nostra attenzione dall'origine emotiva - che si trova nell'inconscio - ad un problema superficiale che pensiamo essere quello reale. Per esempio se sei spesso preoccupato di ammalarti, sprecherai molte delle tue energie e del tuo tempo - più del necessario - nel pensare al come evitare ogni potenziale causa di malattia. Facendo così ci si concentra sugli effetti del problema e ci si dimentica dell'origine inconscia, che potrebbe avere un significato diverso.

Ma se al contrario cominci pronunciando suoni a caso, la tua mente non può più funzionare in quest'ottica di causa ed effetto che ti fa anche allontanare dal presente. Si può invece diventare consapevoli della reale fonta inconscia - che è in cambiamento continuo - delle emozioni e dei pensieri e rimanere nel presente.

Spezzare questo schema verbale serve anche a diventare consapevoli delle emozioni che la mente non consente normalmente di esprimere in parole - e neanche in pensieri - poichè culturalmente o socialmente inaccettabili. Ma le emozioni sono costituite di energia che in qualche modo ha bisogno di essere espressa. E come fa la mente a far fronte a questa energia? Invece di riconoscere il reale nocciolo emotivo - che è inaccettabile - la mente si convince dell'esistenza di emozioni fittizie che sono invece tollerabili. Quindi a causa dei condizionamenti sociali e culturali la mente mente a se stessa - cercando di proteggersi - e molta energia e attenzione è data a problemi fittizzi che tengono lontani dalla verità interiore.

Quindi il gibbersih è un modo per diventare consapevoli della propria verità e penetrare un livello più profondo del proprio essere. Dopo questa fase ci si può sedere silenziosamente per venti minuti, durante i quali puoi finalmente diventare come 'un osservatore sulla collina". Puoi finalmente godere di una serenità più profonda poichè il tuo essere autentico è stato concesso di esprimersi ed è ora più calmo. Nell'ultima parte si lascia il corpo cadere all'indietro sul pavimento senza alcuno sforzo o controllo e questa posizione è mantenuta per altri venti minuti.

Secondo Osho in quest'ultima fase si può entrare nel trascendentale dopo che ci si è liberati della mente attiva (prima fase) e di quella passiva (seconda fase).

La seconda meditazione è la meditazione Dinamica. Questa pratica è da fare al mattino presto. Bisogna tenere gli occhi chiusi - usando una benda se necessario - ed è divisa in cinque parti .

Si comincia respirando forte ed in maniera caotica ed irregolare. Va fatto tramite il naso fino a diventare letteralmente un tuttuno con il proprio respiro. La mente è come una guardia che perlustra tutte le vie per l'inconscio. Respiro e mente sono profondamente interconnesse. Quindi con questo tipo di respiro si confonde la mente e si può facilmente accedere l'inconscio.

Una volta che si è in contatto con l'inconscio si può esprimere quello che ci è stato insegnato a reprimere e nascondere tramite la mente. Dopodichè si può lasciar sfogare tutto: movimenti corporei, urla, piani, salti, balli, canti, risate,... Esternalmente si diventa pazzi ma all'interno si continua ad osservare tutto, cioè si diventa consapevolmente matti.

La cosa più importante è cercare di non interferire ma lasciare tutto fluire verso l'esterno spontaneamente. All'inizio recitare un pò può essere necessario. Siamo diventati così falsi che non possiamo più fare niente di autentico. Siamo diventati la nostra maschera - le nostre false risate e pianti - e da lì bisogna cominciare ma solo all'inizio.

Un altro aspetto cruciale è usare l'intero corpo per esprimersi poichè è lì che le emozioni represse si sono 'trasferite' e quindi è cruciale cominciare lì.

Durante la terza fase bisogna saltare con le mani alzate e urlare il mantra 'hoo', che è stato tradizionalmente usato dai Sufi ed è particolarmente utile per la catarsi. Mentre, secondo Osho, il famoso mantra 'aum' può essere usato solo una volta che le repressioni sono state tirate fuori.

Poi nella parte successiva bisogna fermarsi e congelare il corpo per dieci minuti. In questo modo puoi consentire all'energia di muoversi in un flusso verso l'alto nel tuo essere. E negli ultimi dieci minuti puoi ballare per celebrare la meditazione - che è impegnativa da un punto di vista fisico - e finalmente rilassarti.

Queste sono state due delle più significative meditazioni di Osho che ho potuto sperimentare - No-Mind privatamente con un amico mentre lavoravavamo in una fattoria nell'India rurale e la meditazione dinamica all'ashram di Osho a Pune.

English Version 

Often people ask me about the Osho meditations. In the following post I will try to briefly explain two important Osho Meditations that I could practice in India: No-Mind and Dynamic.

No-Mind meditation is divided into three stages. The first one lasts forty minutes during which you utter nonsense sounds, e.g. you mimic a language you do not know.

Avoiding words of any familiar language is particularly important. The mind works in terms of words that work like rings of a chain, each one leading to another in a vicious circle on which we have little control. We have a thought/idea and we seek its cause (turning to past) and look at its potential effects and solutions (turning to future). This process is automatical and almost completely useless because we repeat it in the same way over and over, much more than actually required to deal with the real issues of daily life.

Furthermore, by focusing our introspection on words we divert our attention from the real emotional source - which lies in the unconscious - to a superficial issue that we deem to be the real one at stake. For example if you are overworried about falling ill, you will waste much energy and time - more than necessary - in thinking about how to avoid all the potential causes of disease. By doing so you focus on the effects of the problem and you forget about the unconscious drive, which may have a different meaning.

But if you start by saying non-sense sounds, your mind cannot work in this logic of cause-effect anymore that drifting you away from the present. On the contrary, you can become aware of the unconscious real origin - which is in constant change - of emotions and thoughts and stay in the present.

By breaking up this verbal pattern you can also become aware of emotions that the mind does not normally allow to be expressed in words - and even in thoughts - because socially or culturally unacceptable. The emotions are made of energy that somehow need to be expressed. What does the mind usually do to cope with this energy? Instead of recognising the real unacceptable emotional core, the mind convinces herself of the existence of a fake and tolerable emotion. Therefore, because of social and cultural conditioning, the mind lies to herself - in an attempt of selfdefense - and much energy and attention is given to fake problems that keep you away from your internal truth.

Hence, gibberish is a way to become aware of your own truth and penetrate into a deeper level of your being. After this phase you can sit silently for twenty minutes, where you can finally become like a 'watcher on the hill'. You can enjoy a deeper serenity because your authentic being has finally been allowed to express and is now calmer. In the last stage, you let your body fall back to the ground without any effort or control and you keep this position for another twenty minutes.

According to Osho this last phase is to enter into the transcendental after getting rid of the active mind (first stage) and passive mind (second stage).

The second meditation I will talk about is Dynamic Meditation. This practice has to be done very early in the morning. You need to keep your eyes shut - using a blindfold if necessary - and is divided into five stages.

You start by chaotically and irregularly hard breathing - through the nose - until you literally become the breathing. The mind is like a guard that patrols all the ways to the unconscious. Breath and mind are deeply interlinked. Hence with this kind of breath you bewilder your guard and can easily access the unconscious.

Once you are in touch with the unconscious you can express what you have been taught to repress and hide through the mind. Then you can let everything go out: body movements, yells, cries, jumps, dance, sing, laugh,... Externally you become mad but inside you keep watching everything, i.e. you become consciously crazy.

The most important thing is to do not interfere but let everything flow out spontanously. To begin a little acting may be necessary. We have become so fake that we cannot do anything authentic. We have become our mask - our false laughter and cries - and from there we should probably start, but only at the beginning.

Another crucial aspect is to use the whole body to express because the repressed emotions have moved there and thus from there we should begin.
The third part is about jumping with raised hands and shouting the mantra 'hoo', which has traditionally been used by Sufis and is considered particularly useful for chatarsis. While the famous mantra 'Aum' - according to Osho - can only be used once the repressions have been thrown out.

Then in the next stage you suddendly stop and freeze your body for fifteen minutes. In this way you can let the energy moving in an upward flow in your being. Then in the last part you can dance to celebrate the meditation - that is physically demanding - and finally relax.

These have been two of the most significant Osho meditations I could experience in India- No-Mind privately with a friend while working in a farm in rural India and Dynamic meditation at the Osho ashram in Pune.